08/02/15
Studio italiano conferma potere antiage della proteina Creb1. Si produce se si assumono meno calorie. Più salute per la gente e anche per il pianeta.
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"Chi ha paura di sognare
e' destinato a morire"
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L'altra depressione
Ovvero come i "sani" percepiscono il depresso
Ennio Martignago




















Lanciata nell’ultimo secolo come nuova malattia, la depressione un tempo si chiamava malinconia e in molti casi aveva una valenza catartica, artistica, poetica. Esistono davvero i depressi – a partire dai giovanissimi – o nella maggior parte dei casi sono tali in quanto arrivano all’esistenza sempre più trattamenti farmacologici specifici e la divulgazione di una certa uniformità di vissuto con chi ha a che fare con loro?

L'ipnosi non esiste, tutto è ipnosi Milton Erickson



La depressione "esiste"
Era la fine degli anni '70 e io ero nel pieno dei corsi universitari, quando un insegnante di Psicologia Clinica ci raccontò che gli anni a venire sarebbero stati all'insegna della patologia depressiva. Non che la depressione fosse sconosciuta, ma era semplicemente considerata una "malattia" grave e, in quanto tale, statisticamente meno frequente, un caso da cliniche psichiatriche e non certo da medico generico. In quegli anni la vera patologia epidemiologica era l'ansia e quindi le nevrosi d'ansia. 
Questo insegnante ci spiegava invece che le case farmaceutiche avrebbero "lanciato" la depressione, proprio come fosse una moda, determinando il progressivo rimpiazzo dei meno redditizi ansiolitici, come le benzodiazepine, ad opera di nuove molecole di antidepressivi. Sarebbero state efficaci per cosa? Probabilmente per un bisogno tutto da inventare e da confezionare.


Il fenomeno esplose negli anno '90 e oggi ci troviamo di fronte ad evoluzioni mostruose, come l'abuso di antidepressivi fra bambini e adolescenti. 
C'è che sostiene che la depressione non esiste. Non è dunque vero: la depressione esiste perché è il nome che ha consentito la diffusione di un fenomeno. La depressione esiste solo perché esistono farmaci e protocolli antidepressivi e perché è sancita dal DSM. Al di fuori di queste ragioni è probabile che non esisterebbe. Da un punto di vista semantico, molto meglio sarebbe parlare di melancolia, l’"umore nero" ippocratico: di questo si tratta in fondo.
Nella sola Italia (figuriamoci quindi nel complesso del mondo occidentale) si stima che un quarto della popolazione debba considerarsi afflitta da una qualche forma di depressione con un incremento previsto del 100% da qui al 2020 (in misura doppia sarebbero donne e il 2,5% di questi sono previsti tra i 13 e i 15 anni).

Quello che più conta è il valore dei depressi "ufficiali": quelli a torto o ragione diagnosticati tali e messi in terapia sarebbero 6 milioni con un'incidenza nel sistema sanitario nazionale di 500 milioni di euro e 746 milioni di dosi giornaliere di farmaci (con un incremento medio annuo attuale del 6%).
Tutto ciò nonostante si sappia che questi farmaci possono avere un senso solo in quelle che possono essere definite depressioni gravi ("psicosi depressive"), mentre sono dannosi e persino depressogeni nelle altre. È invece generalmente diffusa, specie nella medicina di base, la superstizione che l'antidepressivo "forte" agisca prima e meglio, mentre non è così.

Questi farmaci, di qualsivoglia famiglia, per fare effetto richiedono tempo e trattamenti paralleli di sostegno e per l'immediato bisogna prendere in considerazione delle soluzioni diverse ed efficaci. 
Sostenere che la depressione come "fatto" non esista non vuol dire che quelle forme di sofferenza generalmente ascritte alla categoria di "depressioni" non possano essere affrontate e superate, e nemmeno che i mezzi prodotti dall’”industria scientifica”, primi fra tutto i farmaci, siano inefficaci o addirittura tutti deleteri. 
Possiamo distinguere le tipologie depressive in tre livelli, partendo dal primo in cui a prevalere sono i sintomi, per passare a quello in cui la patologia è sostenuta dalle relazioni sociali con l'insorgere di un'identificazione deviante, per arrivare alla coincidenza dell'identità e della volontà con il destino depressivo.
 L'elemento che le accomuna tutte non è tanto la casistica o i segni patognomonici, quanto il sentimento che di fronte ad un "cosiddetto depresso", il familiare, il vicino di casa e lo stesso medico provano: tristezza, svuotamento, poca voglia di vivere, una noia esistenziale profonda, oppure una pena angosciosa. Per questo è frequente una certa disaffezione nei confronti di queste richieste di aiuto. La "depressione" ha una propria identità solo perché esistono trattamenti e perché esiste una certa uniformità di vissuto in chi ha a che fare con il "cosiddetto depresso". 



Il Malumore 

Quanto siamo in grado di sopportare il dolore e qual è il livello in base al quale si va a parlare di patologia e quindi di terapia? La sofferenza fa parte della vita e secondo alcuni ne è addirittura il sale. Il benessere conseguito negli ultimi secoli ha fatto scendere la soglia di tolleranza della sofferenza e verosimilmente l'innalzamento della durata della vita ha generato forme patologiche che un tempo non erano prese in considerazione, spesso anche solo perché la persona cessava di esistere prima che potessero manifestarsi. 
Ci sono persone con una soglia di tolleranza emozionale più bassa della media per le quali stati d'animo impercettibili ai più sono fonte di tormento.

Lo stesso tormento che per gli artisti costituisce un attrito indispensabile per produrre energia creativa. Solo quando la sofferenza prende il sopravvento obnubilando altri pensieri e desideri, riempiendo di sé ogni anfratto della quotidianità, non esiste più ragione per non intervenire. È, infine, molto importante riuscire a prevedere i casi in cui determinati stati possono essere considerati esordi di una "carriera" melancolica per intervenire adeguatamente.
Il primo e principale obiettivo è far passare la sofferenza il prima possibile usando tutto quello che può favorirne la scomparsa e prevenirne il ritorno.. L'intervento suggerito è di tipo sistemico multi-dimensionale con la presenza di una figura che coordini il processo terapeutico.

Le strade principali sono tre:
l'igiene, la psicoterapia e la farmacoterapia (rimedi dolci, omeopatia, floriterapia, o piuttosto ansiolitici antidepressivi lievi anche naturali), non necessariamente in quest'ordine e possibilmente in maniera integrata e simultanea. 
In prima istanza il più delle volte si cercherà un farmaco sintomatico o si procederà con la psicologia d'urgenza (EMDR, PNL e simili), intervenendo sullo stato emozionale generale per rinforzarlo e per "aumentare le difese".


Accanto a questi interventi di urgenza si potrà iniziare un ciclo di psicoterapia breve volto a  rievocare e rinforzare le risorse e a favorire l'apertura alla varietà dell'esistenza; a supportare il coraggio e favorire l'emergere di interessi e soluzioni alternative, assieme all'abbandono di schemi di comportamento e di significato bloccati a favore di un cambiamento evocato e non indotto. Il carattere incline alla malinconia ha bisogno di sperimentare esperienze di liberazione espressiva. Per questo sono efficaci le "palestre emozionali" come i gruppi a orientamento rappresentazionale o artistico.
Difficilmente si può far reagire un organismo defedato, intossicato o appesantito qual è spesso quello delle persone psichicamente sofferenti.

Va pertanto curata l'igiene fisica con l'esercizio, l'alimentazione, le abitudini di vita, ma soprattutto l'igiene emozionale. Nella psicologia manca una vera e propria teoria delle emozioni. Watson, padre del comportamentismo, all'inizio del secolo scorso considerava che le emozioni traessero origine più dai visceri che dal cervello e dai coinvolgimenti cognitivi. Non è quindi fuori luogo immaginare che la vita emozionale possa essere associata ad un tono simile a quello muscolare. Si possono irrobustire i "muscoli" emotivi, imparando a sfruttare le energie emozionali senza averne paura né subirle passivamente; imparare a sopportare le tempeste umorali e gestirle come una risorsa arricchente e positiva, trasformare pensieri negativi in coraggio.
Si può dire che la depressione si basa su schemi mentali, abitudini apprese sia in famiglia che attraverso i modelli culturali introdotti dalla cultura dei gruppi di appartenenza, come pure dalla scuola o dai modelli dei media.

La desensibilizzazione o il reversal learning risultano quindi utilissimi: ad esempio è fondamentale imparare a vincere il complesso della Moglie di Lot, ovvero l'indulgere allo sguardo retrospettivo, al “com'eravamo”, alla nostalgia cronica vissuta come esperienza poetica, invece che come tossicodipendenza da schemi mentali parassitari. C'è una splendida canzone di Francesco de Gregori che contiene un passo destinato a fare da mantra per ogni cosiddetto depresso:  “Quando domani ci accorgeremo che non ritorna mai più niente, ma finalmente accetteremo il fatto come una vittoria”. Insomma, l'apprendimento e la rottura degli schemi sono un passaggio difficile quanto fondamentale che lega tutte le forme depressive.



Il Depresso 

Quando una persona che altrimenti potrebbe essere aiutata a superare i propri problemi concreti viene diagnosticata come depressa, essa gradualmente si adatta al cambiamento di atteggiamento e percezione che le persone attorno finiscono per adottare. 
Non si può dire che le dinamiche di relazione costituiscano in sé e per sé la causa della depressione, mentre è facile dimostrare che possono favorire la cronicizzazione di uno stato acuto altrimenti estemporaneo.

tratto da Scienza&Conoscenza



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