08/02/15
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"Chi ha paura di sognare
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Bob Marley
 


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La Via di “Mezzo”
L'integrazione delle emozioni e il momento presente
Fabrizio Nencioni
















- Il riconoscimento delle emozioni e la loro integrazione
- Lo stare nel momento presente

Ho scelto per quest’articolo il titolo “La Via di Mezzo”, in linea col detto latino – in medio stat virtus – e anche col pensiero mio e di molti altri che recita che la strada per l’armonia passa nell’abbracciare tutta la scala cromatica-emotiva delle emozioni che ci attraversano staccandoci così dalla visione dualistica del bianco e del nero.
Stando appunto centrati, "in mezzo", per riprenderci tutte quelle nostre parti che abbiamo tenuto a lungo lontane.

Vivere “il momento presente” sta invece a significare che, non impegnandoci ad operare consapevolmente e continuamente una scelta del genere, poiché la vita accade ORA e soltanto ORA, viviamo altrove e quindi nell’illusione.

L’insieme di queste due espressioni è stato ed è il mio percorso spirituale dove per spirituale intendo che mi prendo cura del mio “spirito” e anche che il nostro nucleo più profondo non è fatto di materia ma di un’essenza che tutto organizza, da una cellula a un pianeta e dalla quale tutto nasce.

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Riconoscere le emozioni che ci attraversano è il passo che ci consente di integrarle nella nostra essenza. L’integrazione di esse è l’esatto contrario di quello che mi veniva di fare da quando da bambino, ho cominciato ad avere barlumi di pensiero, fino a non molto tempo fa: la fuga è sempre stata il mio modo di affrontare l’esistenza, è non solo per le sofferenza infantili.
Da bambini, quando arrivava una sofferenza spesso per noi intollerabile, fuggivamo da essa o facevamo finta che non esistesse, la rimuovevamo; questo perché un bambino non ha spesso i mezzi per affrontare le situazioni dolorose.
Se da bambini questo era il sistema direi ovvio quando avevamo a che fare con la sofferenza, ora che siamo adulti c’è l’essenziale bisogno di integrare le emozioni che viviamo.
Questo perché distanziarsi da un’emozione, poiché essa ci appartiene e quindi è parte di noi, crea dualità e di conseguenza disagio.
Mi spiego meglio: per integrazione intendo prima il riconoscimento dell’emozione che ci attraversa e poi, dopo averla salutata e detto lei che l’abbiamo riconosciuta, l’aggiunta di questa al nostro mondo interiore.
Facciamo un esempio, quello del giudice interiore, che abita, naturalmente con scalature diverse, in tutti noi.

Nel momento che ci ritroviamo a giudicarci, magari pesantemente per quello che facciamo o abbiamo recentemente fatto e conseguentemente anche quando operiamo un’azione del genere all’esterno e cioè verso una persona, un’atteggiamento di una persona, un fatto qualsiasi che leggiamo sul giornale, è entrato in azione il “giudice interiore” e cioè quella parte di noi che si distacca dalla realtà perché si sente migliore o peggiore o anche uguale (in questo caso c'è un alleanza contro terzi), quella parte di noi che non accetta la realtà per fluire in essa ma la giudica; questo fa si che l’aspetto duale della nostra esistenza sia ancora energeticamente innaffiato.
Riconoscendo questa parte giudicante, salutandola e dicendo lei che l’abbiamo vista e riconosciuta e così accogliendola con dolcezza nel nostro mondo interiore, facciamo si che questa parte perda potenza ed operiamo un’integrazione con quella emozione.
Da una sensazione duale, passiamo ad una sensazione di unità.

Per far questo dobbiamo essere completamente onesti con noi stessi ed avere la lucidità necessaria per fare un movimento energetico di questa portata che, a lungo andare, ci porta a convivere con questa nostra parte giudicante che sarà “in azione” sempre meno proprio perché riconosciuta e quindi, quasi automaticamente, integrata.

L’esempio del giudice interiore può essere traslato a qualsiasi altra nostra parte emotiva che favorisce la dualità: alla paura, al senso di sfiducia nella vita e conseguentemente negli altri, alla voglia di sfida e di ribellione, al senso di inadeguatezza, al senso di superiorità, alla tendenza ad essere sottomessi, al voler dire sempre di si o di no a tutto.

Riconosciamo quelle parti di noi che non ci fanno stare in unità e riconosciamo, quando c’è un disagio e un conflitto interiore, quale nostra parte lo crea.

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Il vivere il “momento presente” va di pari passo col riconoscere le nostre parti ed integrarle.
La vita accade ORA e solo ORA, il passato non esiste più ed il futuro non esiste ancora, la nostra realtà è “l’Eterno Presente” e nessuno di noi può sapere se continuerà ad esistere, all’interno della nostra forma fisica, l’istante successivo a quello in cui pensiamo o viviamo qualsiasi cosa.

Poiché molte volte il presente non ci piace perché doloroso e poiché la nostra mente fa fatica per non dire che le è impossibile stare nel presente, se essa non è ben addestrata, tendiamo ad andare di continuo via da noi stessi, a ricordare il passato dove siamo stati bene oppure la mente ci può dire che staremo bene un domani quando avremo quel lavoro, quei soldi, quella donna/uomo, quella situazione diversa da quella presente.

La tradizione buddista zen di Thich Nhat Hanh chiama “presenza mentale” quell’azione che ci fa stare concentrati sul momento presente e in quello che stiamo attualmente facendo invece di spaziare in continuazione con la mente.
La presenza mentale è quella di guidare mentre stiamo guidando la macchina, camminare mentre stiamo camminando, scrivere al computer mentre stiamo scrivendo al computer, fare l’amore mentre stiamo facendo l’amore; rivolgere la nostra attenzione a quello che stiamo facendo in quel momento, che poi è l’unico sistema per far bene quello che stiamo facendo.
Se così operiamo, impediamo alla nostra mente di andarsene al litigio del giorno prima, o a quando incontreremo quella persona pensando cosa dirgli, o a quando saremo con quell’altra persona che staremo così bene; impediamo alla nostra mente di andare verso le preoccupazioni e gli attaccamenti di qualsiasi tipo.

L’intento è di OCCUPARCI del presente invece di PRE-OCCUPARCI di un qualcosa che non possiamo sapere come andrà a finire.

Questo non vuol dire non avere progetti o intenti, anzi, sono essi necessari ma una volta lanciato l’intento, non preoccupiamoci di come andrà a finire.
Portiamo la nostra attenzione sulla semina, facciamo in modo che i semi siano piantati bene e che ricevano la giusta quantità di acqua e disinteressiamoci completamente di come sarà il raccolto, il raccolto sarà come dovrà essere e se abbiamo fatto una buona semina, ci sono molte probabilità di ottenere un buon raccolto.

Una frase che mi è sempre piaciuta molto è quella che riguardo a un viaggio dice: “La meta non è il viaggio, il viaggio stesso è la meta”.
Un po’ come l’altra: “There is no way to happiness, happiness is the way”.

La pratica della "semplice"meditazione seduta sul respiro, ci può essere di molto aiuto per stare nel momento presente e la vera pratica avviene nella vita di tutti i giorni, volgendo l'attenzione a quello che facciamo e anche al come lo facciamo, impegnandosi a non aprire le porte al giudizio.








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